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IL BENE COMUNE E IL BENE PROPRIO: DA GIOTTO A LORENZETTI

Nella Cappella degli Scrovegni di Padova Giotto ha posto al centro la Giustizia: tre virtù la precedono e altrettante la seguono. La Giustizia, ovvero il Buon Governo, in radicale antitesi con l'Ingiustizia allegoricamente resa in forma di bieco tiranno. Siamo nel 1305.

Ma è nel Palazzo Pubblico di Siena che, al vertice del Medioevo, il tema viene ripreso e declinato in modo insuperabile.

Nella grande Sala del Mappamondo l'imponente Maestà di Simone Martini ammonisce: "Amate la giustizia voi che giudicate la terra". Siamo nel 1315.

Passano poco più di vent'anni e Ambrogio Lorenzetti affresca nella Sala dei Nove il ciclo noto come "Buon Governo", ma all'epoca si preferiva dire "Il bene comune e il bene proprio", o anche "La pace e la guerra". Si tratta di una straordinaria attualissima allegoria della buona politica, - fondata sulla verità e sulla bellezza delle virtù - e dei suoi effetti in città e campagna. All'opposto la tirannia genera devastazione e terra desolata.

Con la tecnica di zoom "explorer navigation" Roberto Filippetti entra nei dettagli più riposti, svela ogni segreto dei capolavori, legge le tante "parole dipinte" (a volte in terzine dantesche) che offrono la chiave ermeneutica dei singoli affreschi. Si tratta di un vero spettacolo per gli occhi e di una grande avventura della conoscenza: una salutare "pro-vocazione" per chi abbia a cuore la pòlis, ovvero la res publica, la città dell'uomo.

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